Il libro A 50 anni dalla
prima del film di Fellini.
Le storie (e i segreti)
della Dolce Vita
(“minuto per minuto”)
Tutta la verità su un
fenomeno falsato
Dal barman al principe, l'epopea di via Veneto raccontata dal giornalista Victor Ciuffa. Il nome «Quello che ha dato il titolo al capolavoro e a una intera
epoca è stato tratto dalla rubrica di un mio collaboratore»
di Francesco Cevasco
Corriere della Sera 1/2/2012
Ma perché si chiama Dolce Vita? «È una storia casereccia», risponde Victor Ciuffa,
giornalista, scrittore, editore. Ma, soprattutto, il tipo che ha ispirato Federico Fellini per la figura di Marcello Rubini (Marcello Mastroianni), il reporter romano cacciatore di notizie
scandalistiche un po' cinico e un po' tenero, un po' emotivo e un po' disincantato che tiene insieme gli episodi del film. «Io facevo la cronaca mondana per il Corriere d' Informazione, le
notti in giro per i locali, non riesco a seguire tutto e mi prendo un collaboratore che pago di tasca mia: 50 mila lire al mese, un bicchiere di whisky, la sua disponibilità a portarmi o ad
aspettarmi dovunque e a qualsiasi ora. Si chiamava Nino Vendetti e un giorno mi fa: ma le notizie che non dai al tuo giornale, quello che t'avanza, i cascami delle notti romane, me li posso
rivendere all' altro giornale di Milano, La Notte? Fai pure. E gli danno una rubrichetta intitolata "La Dolce Vita nella Capitale". A Fellini che non scappa niente, che legge tutto, quel
titolino gli resta in testa. Magari gli saranno tornati in mente anche Sem Benelli e Pietro l'Aretino che di dolce vita hanno scritto, ma non è quello...». Ora Victor su quegli anni ha scritto
un libro, più di 500 pagine: infatti s' intitola «La Dolce Vita minuto per minuto»; la moglie Anna Maria gli ha «imposto» di farlo per la loro casa editrice («Sono gelosa anche di questo»).
Togliamoci subito un altro dubbio che in questi giorni di feste per i 50 anni dalla prima uscita del film appassionano i tredici milioni d' italiani che l' hanno visto e tutti gli altri che ne
hanno sentito parlare: ma Fellini ha fatto un racconto impastato di morale cattolica oppure un laico e crudele resoconto delle nostre vite immorali? «Non è vero che Federico fosse un gaudente
immerso nelle relazioni femminili. Era una brava persona, è rimasto un umano che non ha perso il senso della realtà come hanno fatto molti attori della sua epoca che recitavano anche quando
vivevano. E poi, magari a modo suo, era anche religioso». Dopo l' uscita del film, comunque, il giornalista Victor Ciuffa decide di cambiare la sua firma in fondo agli articoli che raccontano
le notti e i sofferti amori di aristocratici, attori e riccastri. Si chiamerà Ugo Naldi per non confondersi, spendendo il suo vero nome, con quel mondo. Ma continuerà a scriverne. Come ha
sempre fatto al Corriere d' Informazione anche quando commentava pure la politica sotto la direzione di Gaetano Afeltra che gli diceva: «Ciuffe! Mandami uno dei tuoi pezzi con l'arrizzo che
qua ci stanno tutte cose noiose. Guarda, ti faccio le testatine "Roma bene", "Roma male", "Gli spilli di via Veneto"». Via Veneto, appunto. «È lì, certo, che nasce la Dolce Vita. E nasce
da personaggi-piccoli, non dai giganti del jet-set. Come Vittorio Tombolini, cameriere di Vigevano che va emigrante a Parigi e in Costa Azzurra, si fa barman, diventa Victor e la moglie
italiana Bianca la ribattezza Blanche. Su consiglio di nobili della Costa Azzurra va a fare la stagione a Cortina dove altri nobili lo segnalano per l' Open Gate Club di Roma frequentato da
aristocrazia e gente del cinema. Poi apre il suo baretto, Victor' s, e si trova coinvolto nello scandalo padre della Dolce Vita. Nel giugno ' 56 un avvocato fa rissa con Max Mugnani, il
"robiere", come si diceva una volta, il pusher, accusato di spacciare bicarbonato. Arriva la polizia e porta dentro il principe Pepito Pignatelli, il marchese Emanuele de Seta, il conte
Ludovico Lante della Rovere, l' attore Carlo Caracciolo, il duca Augusto Torlonia no perché riesce a scappare. Risultato: anche Tombolini deve cambiare aria e si compra un baretto in via Veneto
di fronte all' albergo Excelsior, lo chiama Café de Paris. E arrivano tutti: gli artisti che nei primi anni Cinquanta scimmiottavano gli esistenzialisti in via Margutta, via del Babuino, piazza
del Popolo, gli attori che stavano affollando Roma perché Hollywood si era trasferita lì, i soliti aristocratici in cerca di emozioni. Anche Fellini frequenta quei tavolini con Ennio Flaiano e
si raccontano le loro storie. Ci sono anch' io che mi trasferisco in via Veneto giorno e notte e partecipo a quelle chiacchiere con i miei piccanti retroscena: piacevano a Federico perché non
erano fini a se stessi, ma erano sempre conditi di ironia e un pizzico di satira di costume». Con un poco di malinconia, invece, Ciuffa ricorda l' anniversario romano dell' anteprima al cinema
Fiamma della Dolce Vita. Quel giorno, quella notte, Ciuffa, che aveva già visto il film durante una proiezione privata alla Cineriz con Afeltra, fa un salto a una festa dei bersaglieri (non si
sa mai che ci scappi qualche notizia piccante) dove assiste a un presunto musical, «ma si tratta di un avanspettacolo con una decina di smadruppate che ballano come possono. Ce n' è soltanto
una "giusta", una danese, Anna Rasmussen. Io la conosco. È molto bella. È con un' amica altrettanto danese. Ho da fare, ma ci diamo appuntamento alle 11.30 in un locale di via Veneto. Quella
sera, però, Anna non mi è simpatica e non la raggiungo. In quel locale c' è Fred Buscaglione. La invita al suo tavolo. E poi alle 4 la porta in una taverna dalle parti della stazione Termini
che fa gli spaghetti fino alle 6 di mattina. Ultima tappa la pensione dove dorme la ragazza. I due chiacchierano "inutilmente" sulla Thunderbird rosa di Buscaglione. Quando capisce che quella
notte non è la notte giusta, Fred se ne va. Poche centinaia di metri e la Dolce Vita di Buscaglione finisce contro un camion pieno di ghiaia».